Classe 1968, segno zodiacale Capricorno. Primogenito di tre figli, l’unico nato fra le mura casalinghe da mamma sarta e papà contadino. Chef e patron del ristorante Angelo Sabatelli a Putignano, Bari. Stato civile coniugato, con Laura Giannuzzi, compagna di vita e di lavoro, padre di Daniele e Simona, braccio destro e sinistro di mamma-maître in sala. Sabatelli porta un macaron appuntato sulla giacca (e più di qualcuno dice che uno non è abbastanza per il cuoco più avantgarde di Puglia) e dieci anni di attività in seno a Charming Italian Chef. Di Chic, l’associazione che riunisce oltre cento fra cuochi, pizzaioli e artigiani della panificazione in tutta Italia, il cuoco pugliese è il presidente neo-eletto succeduto a Paolo Barrale. Riflessioni, prospettive e grandi speranze di un Sabatelli insospettabilmente ottimista malgrado l’incrollabile certezza che no, non andrà tutto bene. “Ma l’associazione può aiutarci a uscire dal pantano Covid”, parola di presidente.
Che peso ha prendere in consegna il testimone da Paolo Barrale, cuoco di stazza mediterranea, molto amato fra i colleghi, e per giunta in un periodo assai complicato?
Paolo è un grande interprete e stimato professionista della nostra bellissima nazione, nei tre anni passati è riuscito come tutti i suoi predecessori con costanza e impegno a mantenere il gruppo unito, farlo crescere e consolidarlo nel panorama nazionale. Sempre presente in prima persona ai vari eventi in lungo e largo la penisola con professionalità e passione, riuscendo a mantenere un rapporto aperto e amichevole con tutti gli associati. Se il mio predecessore ha fatto un grande lavoro a me spetta quantomeno di esserne alla sua altezza. E mi creda, non sono parole di circostanza.
Apparentemente schivo, certamente ipercritico, burbero certificato. Il suo è l’identikit perfetto del battitore solitario. Perfettamente contraddetto dall’escalation di Angelo Sabatelli nell’alveo di Chic: associato da dieci anni, presidente per i prossimi tre. Insomma, Jekill o Hyde?
Suppongo che il mio curriculum non lasci spazio a dubbi: credo nel valore delle associazioni di categoria e il mio decennio in Chic ne è la prova provata. Hanno un valore di crescita, di divulgazione, di cultura dello stare insieme. Noi cuochi siamo uno e centomila: da una parte tu sei il titolare della tua azienda e rispondi solo a te stesso, imprimi la direzione, decidi il percorso del tuo ristorante. Stare insieme in associazione invece vuol dire essere uno di tanti, e le decisioni devi prenderle insieme agli altri tenendo a mente che gli altri sono professionisti tuoi parigrado, gente che viene da tutta Italia con cui sei obbligato a confrontarti. E da quel confronto vengono fuori risorse inaspettate. Faccio un esempio molto concreto: i cuochi di Chic hanno una chat comune, i colleghi di Bolzano hanno riaperto prima rispetto a quanto stiamo facendo mediamente al Sud. È una occasione pazzesca per condividere esperienze e strategie, per capire la direzione. Che è pane prezioso in un momento come questo di disorientamento totale. E poi…
Poi?
Sono esigente, non sono burbero. Credo profondissimamente nel gruppo.
Ma come? Lei che è sempre dalla dark side of the moon.
(Ride) No, ripeto, credo fortissimamente nel gruppo e spero che l’associazione serva possibilmente a dare qualcosa agli altri, sono molto serio sul punto. Io ho delle idee, adesso vediamo se il presidente di Chic ha davvero voce in capitolo o è come Mattarella.
Certo che il presidente eletto in era Covid dovrà muoversi giocoforza a scartamento ridotto. Niente cene, poche trasferte, ovvero il nerbo della vita associativa. Bisognerà inventarsi formule nuove. Quali?
Ne abbiamo accennato con il direttore Raffaele Geminiani e il Consiglio e ora faremo degli approfondimenti a riguardo. Mi piacerebbe moltissimo fare un libro che coinvolga tutti i soci. Ci sono zone d’Italia chiaramente più difficili da raggiungere, allora può capitare che alcuni colleghi beneficino dei riflettori che l’associazione riesce ad accendere con gli eventi, più di altri. Ecco, a me piacerebbe che questo effetto benefico ricadesse anche sui colleghi che vivono in zone meno battute. Anzi, penso soprattutto a loro.
Proposito ecumenico ma, sia sincero: queste chat di gruppo fra cuochi non prendono mai fuoco tipo gruppi di classe delle mamme?
Beh, come negarlo? Al punto che può rendersi necessario silenziare il gruppo fino a quando non sbollono i bollenti spiriti. Ma io vorrei sinceramente che tutti prendessero parola, con educazione e rispetto degli altri. Ho detto subito che fuori da queste regole, non c’è spazio per nessuno.
Rinunciare al proprio punto di vista per stare alle regole del gruppo, è un gioco che vale la candela? Che cosa porta nella vita o nella attività di un cuoco una associazione come Chic? Cosa ha portato ad Angelo Sabatelli?
Mi ricordo ancora la prima volta che ho sentito il direttore, Raffaele Geminiani. Ho istaurato con lui un dialogo continuo, idem con il resto dell’associazione. Sono stato chiamato per tanti eventi e questo ha contribuito indubbiamente a far sì che mi si conoscesse: non è vero che a fare la fama di un cuoco sono solo le guide, per me Chic è stata fondamentale. Il nostro lavoro è fatto di tante piccole briciole, che insieme fanno una pagnotta. Faccio un altro esempio.
Sentiamo.
Sempre in questa famosa chat. Alcuni colleghi pizzaioli del nord ci hanno fatto vedere delle scatole color alluminio per la pizza, splendide, al cento per cento compostabili, bellissime davvero. Ecco: i ragazzi soci del nord sono un esempio di sostenibilità. Perché non prendere a modello chi fa meglio di te? Questo per me vuol dire far parte di una associazione. Pagare la quota associativa, comparire nella guida, e il gioco è fatto: non è per me. E poi ci sono altri vantaggi.
Quali?
Con l’associazione facciamo anche aggiornamenti. Abbiamo incontrato di recente via web un’azienda di macchine per il gelato, sponsor di Chic. Nei ristoranti di solito non ci sono frigoriferi riservati al gelato e le temperature delle nostre attrezzature non ci consentono di conservarlo. Bene, questa azienda sta studiando delle soluzioni idonee anche per i cuochi che usano gelatiere tradizionali. Conoscere tecniche e macchine è una opportunità che può diventare strategica, e quella opportunità te la dà l’associazione. E ancora, a proposito di confronto, il mondo della pizza è fantastico, ma finora ne avrò mangiate due o tre buone in tutta la vita. Ecco, in seno a Chic ci sono molti e qualificati professionisti del settore.
Solo tre pizze buone in tutta la vita? Ci dice quali?
Non se ne parla. Ma quel che voglio dire è che Chic è stata la primissima associazione ad aprire ai pizzaioli. Con persone come Bonci ad esempio, mi permetto di citarlo perché è stato in brigata con me al Convivio Troiani, si possono fare delle cose bellissime. Ci possono dare lezioni sulla panificazione e sui lievitati. Quanti cuochi sanno davvero fare il pane?
Vuol dire che il livello di confronto in associazione può consentire di migliorare il livello medio della manifattura italiana? O che, vista la sovresposizione mediatica, i cuochi e i grandi artigiani del cibo, possono fare scuola, proponendo un altro mondo possibile, altre visioni da inoculare nella quotidianità della gente?
L’una e l’altra cosa, di sicuro. Per questo dobbiamo stare attentissimi ai messaggi che veicoliamo. Possono attecchire malerbe, e non è proprio il caso: il mondo è già abbastanza malato e dolorante senza che ci mettiamo anche noi a fare i guastatori. Lo abbiamo visto con gli elettrodomestici: l’imposizione mediatica dei master chef ha trasformato le cucine casalinghe, oggi tutti hanno in casa una strumentazione professionale. Dunque se indirizzassimo la comunicazione a livello di sostenibilità, chilometro giusto, sicuramente la gente comincerebbe a rifletterci e prendere esempio. Se funzionassimo all’unisono come dovremmo, su questi temi, sarebbe rivoluzionario: un’associazione come la nostra che mette insieme più di cento persone, non solo cuochi ma anche pizzaioli e grandi artigiani, può avere un potere enorme. Lo abbiamo visto con la differenziata, dopo il primo attimo di impasse, piano piano differenziare è diventato un gesto abitudinario, o lo sta diventando. Nelle grandi cucine c’è uno spreco di materiali inquinanti mostruoso, perché sono la scorciatoia attraverso la quale fare prima in luoghi dove la lotta con il tempo è sempre a favore del tempo e mai dalla tua. Se artigiani, produttori anche di attrezzature, hanno una piattaforma come questa sulla quale confrontarsi, se la sostenibilità diventa la parola d’ordine condivisa, se si innescano sinergie fra persone e segmenti produttivi. Insomma: se il prodotto base e il packaging partono con il piede giusto, e io cuoco a mia volta di un melone uso la polpa, la buccia ma anche i semi, quella è la strada giusta, no?
La retorica della pandemia ha i suoi slogan, dice che andrà tutto bene. Ma cuochi e ristoratori intanto bestemmiano. O piangono. E si riapre senza regole certe.
Non voglio fare l’uomo di mondo, ma io ho vissuto tutto questo abbastanza serenamente. Ero a Shangai quando sono scoppiate sars, aviaria, suina: non c’era un cliente, uno solo, da nessuna parte. La città si riprese facilmente, ma parliamo di una metropoli che gira a dimensioni diverse. Adesso dobbiamo metterci tutti in testa che dobbiamo farcela da soli. Faremo un botto tremendo tutti quanti? Mi auguro proprio di no. Sarà un inverno decisamente freddo. Ma sono sereno. Agitarsi non serve. Personalmente sto cercando di apportare alcune modifiche al menu: l’idea è quella di fare due menu degustazione dai quali poter scegliere anche piatti alla carta, e così contenere il food cost.
Possibile che le strategie governative riservate ai ristoratori in materia Covid, facciano arrabbiare tutti tranne Sabatelli?
Un attimo, non ho detto questo.
Ecco, pareva strano.
Bastava fare una cosa semplice all’inizio. Lo stato avrebbe potuto tenersi le 600 euro, che non hanno salvato nessuno, e non farci pagare i contributi per i dipendenti fino alla fine dell’anno, idem per Imu, Tari e tutte le altre diavolerie. Solo fino a dicembre. Nel frattempo noi avremmo continuato a pagare affitti, stipendi e merce. Così ce la saremmo cavata quasi tutti. E invece no. Si salverà solo chi ha esperienza e riesce a sopportare tutto questo caos, con la consapevolezza che non vedremo una lira per un pezzo, lavoreremo per pagare gli altri. E poi resta l’incertezza totale sugli assetti interni: personalmente dovrò togliere almeno quattro tavoli, ne restano cinque. Mi chiedo anche io, come tanti colleghi, se a queste condizioni conviene riaprire. E non ho ancora una risposta. Intanto, apro (sorride). Poi si vedrà.
Video ricette di Sabatelli in versione casalinga, non pervenute. Come mai?
Nessuna critica nei confronti dei colleghi che si sono esposti in questo senso, anzi, hanno fatto compagnia alla gente e magari contribuito ad alzare il livello di preparazione in cucina. Io personalmente non ce l’ho fatta. Quella processione di bare, giuro, mi ha ammutolito. Spero di non dimenticare. Spero che quel ricordo resti nella memoria mia e dei miei colleghi. E che ciascuno di noi, dentro e fuori dall’associazione faccia la propria parte per cambiarlo, il mondo.
di Sonia Gioia